Non è un caso che, anche nelle religioni, la visione sia qualcosa che implica una percezione, esterna o
interna che sia, ma che, attraverso una manifestazione di natura divina, provoca una trasformazione, una conversione,
una rinnovata percezione della realtà, determinata da un sovvertimento del normale ordine delle cose.
La visione non è mai neutra. Non si ferma allo stimolo che colpisce l'occhio, ma implica un coinvolgimento
attivo del soggetto percepiente, che mette in relazione il percepito con un sistema coerente già presente nel
soggetto stesso.
Anche quando la visione è profana, e si applica alle attività dell'uomo, comunque resta una visione attiva,
che ha la forza di trasformare la realtà. Permane quindi la natura sovversiva della visione.
Per questo la visione deve sempre partire dalla percezione, dai dati,
per poi operare una forzatura, una trasformazione, una conversione. Quindi la visione deve presentare in modo
intuitivo l'obiettivo e tracciare il percorso che conduce ad esso. La visione è quindi un punto di partenza,
rappresentato dal dato, un punto di arrivo, il quadro di insieme che rappresenta l'obiettivo da raggiungere,
e un piano, un piano di alto livello ma pur sempre un piano.