Se l'azione è coerente con la visione, allora risulta facile, attraverso la narrazione rappresentata dalla visione, determinare quale sia stato il corso degli eventi, individuare le deviazioni dal percorso e correggere la rotta. In questo senso la visione funge da canovaccio per l'azione, come in un'opera teatrale a soggetto. L'azione risulta così essere un tentativo di incarnare la visione, di tramutarla da pensiero a cosa. L'azione opera quindi il miracolo di reificare un'idea; non lo fa attraverso una formula astratta, ma per mezzo di concetti, di valori, amalgamati per mezzo di una continua azione di verifica che permetta di confrontare quanto è stato realizzato con la visione stessa. Per consentire questa operazione la visione deve contenere indicazioni vincolanti, chiare e precise che abbiano la funzione di indirizzare l'azione; non un piano di dettaglio, ma un insieme di linee guida che consentano la coerenza.
Ma se il piano che si muove all'interno della visione non può essere una pianificazione di dettaglio, che per sua natura non può ispirare nessuno, non può nemmeno essere una idea vaga ed evanescente, che come tale sarebbe destinata a rimanere nel mondo della fantasia.
Se è vero che alcune visioni riescono a ispirare (e si tenga conto del significato profondo del verbo ispirare, inspirare, l'azione propria dell'introiettare l'aria e, per estensione etimologicamente fondata, lo spirito), allora è necessario che la visione incarni già in se il concetto di realizzabilità.
La visione in cui si può credere diviene quindi il motore dell'azione proprio perché permette di intravedere la possibilità che l'azione ha di produrre il risultato sperato.